Dopo alcuni mesi di assenza, sono tornato a correre a Monte Pellegrino, il rilievo che sovrasta Palermo lungo la sua costa nord. Ho trovato le falde del monte, nel Parco della Favorita, completamente trasformate. Vicino le ex-scuderie reali e la Valle del Porco, il bosco è stato abbattuto in molti punti, e adesso ci sono ampie zone senza alberi. Vedere quegli spazi vuoti è stato impressionante, e mi ha lasciato un vuoto dentro.

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Monte Pellegrino è forse la montagna simbolo di Palermo. È sicuramente cara ai suoi abitanti per via della presenza del Santuario di Santa Rosalia, patrona della città. Nel diciottesimo secolo, Goethe definì il Pellegrino “il promontorio più bello del mondo” nel suo saggio Viaggio in Italia.

Io frequento il monte laicamente, per escursioni e corse, e devo dire che negli anni è diventato uno dei miei posti più cari a Palermo. Non è per nulla scontato avere un sito naturale del genere praticamente dentro una città di settecentomila abitanti. Ho scritto più volte della mia frequentazione del monte su questo blog (ad esempio qui, qui e qui).

Mancavo dal Pellegrino da un po’, ma sapevo che dei lavori erano iniziati all’interno della riserva. E temevo. In passato avevo letto che erano stati approvati diversi progetti mirati a modificare il bosco. Quello in questione è stato finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ed è mirato alla “realizzazione di interventi di rinaturalizzazione e rimboschimento del Parco della Favorita,” come recita il cartello. Leggendo gli articoli su questi progetti, ero sempre rimasto perplesso da alcuni aspetti. Adesso le mie perplessità sono state confermate, ma è stata l’esperienza diretta – fatta con tutti i sensi – che mi ha scioccato.

Ho trovato tronchi di pini ed eucalipti tagliati ovunque. Mi sono sembrati alberi vivi, non bruciati dagli incendi, che in quella zona non sono mai arrivati. Forse erano tutti malati? Non sono in grado di dirlo.

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In molti punti c’era un forte odore di resina rilasciato dai pezzi di pino nell’umidità della prima mattina.

In altre zone, il terreno era coperto da un tappeto di aghi di pino provenienti dagli alberi abbattuti.

Ovviamente il luogo al momento è un cantiere; tra qualche mese non avrà più questo aspetto (però i resti degli alberi saranno semplicemente fatti sparire – la sostanza non cambia). Devo anche dire che gli altri tipi di alberi presenti sono stati risparmiati. Credo che l’idea, infatti, sia quella di togliere pini ed eucalipti, considerati non autoctoni, per piantare specie più locali.

Il discorso dell’autoctonia, che attualmente giustifica anche l’abbattimento dei daini sulle Madonie, è troppo complesso per essere affrontato in questo post. Si tratta di un tema molto delicato che spesso diventa quasi un’ossessione in ambito naturalistico. E come tutte le ossessioni, può portare ad azioni sbagliate.

Io non metto in dubbio le buone intenzioni di chi ha pensato il progetto; immagino che avessero le competenze richieste (il cartello dei lavori elenca ben tre dottori agronomi). La scienza, però, non opera nel vuoto, ma nella società in cui viviamo, e anche gli esperti sono persone plasmate dalla cultura dominante, come tutti noi. Anche gli esperti possono sbagliare. È quindi lecito porsi una serie di domande.

Perché tagliare alberi vivi per metterne di nuovi, anziché piantarli dove non ce n’erano? Dopo avere lasciato le falde del monte, dove stanno effettuando i lavori, sono salito per il sentiero della rufuliata e sono arrivato nella zona che si chiama Costa Finocchiaro, cioè il versante del monte che dà sopra l’Addaura. Lì ci sono tantissimi punti in cui gli alberi sono stati diradati dai tanti incendi del passato o sono del tutto assenti.

Quando ho visto tutto quello spazio brullo, e ho ripensato ai tanti alberi tagliati a valle, mi sono sentito in un mondo di pazzi. Qualcuno dirà: il progetto era per la Favorita, non per il monte. Ma la sostanza resta: perché abbattere per poi ripiantare?

Forse i lavori si fanno dove è più semplice e comodo. Il posteggio delle ex-scuderie reali dà facile accesso alla zona dei lavori, mentre la Costa Finocchiaro è molto più “lontana.” Magari direbbero pure che in questo modo si risparmia sui costi di lavoro. Ma se il punto fosse questo, mi viene in mente un’altra domanda.

Quanti soldi si stanno spendendo per tagliare alberi rispetto a quelli che si spenderanno per piantarne di nuovi? Non si potevano spendere tutti per piantare nelle zone vuote?

Un’altra domanda che mi pongo è: com’è possibile che nessuno parli di questi lavori? O sono io che non ho visto le notizie? Si tratta di un’opera che ha cambiato quei luoghi per sempre.

Adesso si pianteranno nuovi alberi, ma finito il progetto, chi se ne prenderà cura? Portare a termine il progetto è facile, ma dopo? Si torna alla normalità – alla gestione ordinaria – e sappiamo i problemi che ci sono in questo caso. Se qualcosa andrà storto, avremo disboscato per nulla.

Posso solo sperare che i nuovi alberi siano in grado di sopravvivere da soli. Diverso tempo fa, però, in cima al monte sono stati piantati una manciata di alberi da alcuni gruppi della società civile. Fu un gesto simbolico di protesta contro gli incendi criminali. Non so se quelle piantine siano sopravvissute.

Mi chiedo anche se ci sia stata qualche forma di consultazione con i cittadini in merito ai dettagli del progetto. Davvero i fruitori della riserva, per non dire la cittadinanza tutta, non dovevano avere nessuna voce in capitolo? Chi ha fatto questo progetto, la riserva la frequenta? Agronomi, ingegneri, architetti, dipendenti pubblici, imprese esecutrici, la riserva la vivono?

Quanti alberi verranno tagliati e quanti piantati? Il bilancio sarà positivo o negativo? Rispetto all’assorbimento di CO2? Magari tutte queste cose sono spiegate nel progetto, che io non ho letto. Non so se sia pubblico. Nel cartello dei lavori c’è scritto di rivolgersi a un ufficio della Città Metropolitana; c’è anche l’indirizzo (quello fisico, non l’email).

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Vedere quei luoghi così cambiati, che davvero stentavo a riconoscere, mi ha lasciato un profondo senso di spaesamento e tristezza. Credo sia questo quello che gli esperti oggi chiamano “lutto ecologico.” Ma ho provato anche rabbia per quella che mi sembra una grande assurdità. Vorrei capire meglio. Vorrei che qualcuno mi spiegasse. Però tutti quegli alberi sono già stati tagliati. Questo ormai non si può cambiare.