Domenica 2 giugno ci sarà una nuova manifestazione per dire “sì” alla protezione del paesaggio della Mufara sulle Madonie, in Sicilia. Sulla cima di questo monte, dove è già presente un telescopio di recente costruzione, l’Agenzia Spaziale Europea ne vuole costruire un altro, chiamato FlyEye.

Si tratta di una storia lunga, contorta e assurda, che mette in luce tutti i limiti della protezione della montagna nella società italiana contemporanea. Per un racconto dettagliato di questa storia clicca qui.

Il Monte Mufara—per tutti, “la Mufara” (con l’accento sulla “u”)—è un rilievo che sorge nel cuore del Parco Regionale delle Madonie. I suoi fianchi sono ricoperti da un fitto bosco di faggi che arriva fino a 1800 metri d’altezza, una rarità per la zona, dove quasi tutti i monti sono stati disboscati secoli fa.

La Mufara, inoltre, si trova all’inizio delle creste del Monte Quacella, un ambiente montano unico in Sicilia, ricco di pinnacoli, canaloni e ghiaioni, che ricorda vagamente le Dolomiti e fu descritto da Lojacono Pojero, il famoso naturalista dell’Ottocento, come le “Alpi di Sicilia.”

La Mufara in lontananza al centro, con le creste della Quacella sulla destra (clicca per ingrandire)

Le creste della Quacella guardando a sud (la Mufara è alle spalle)

L’area fa parte della Zona Speciale di Conservazione ITA 020016 “Monte Quacella, Monte Cervi, Pizzo Carbonara, Monte Ferro, Pizzo Otiero” e della Zona di Protezione Speciale ITA 020050 “Parco delle Madonie.”

Per questi motivi, la cima della Mufara è classificata come zona A del parco, cioè quella con maggiori protezioni (inedificabilità assoluta).

Nonostante ciò, vicino la sua sommità è prevista la costruzione di una palazzina alta 13 metri, con annesso piazzale di 360 metri quadri e stradella carrozzabile.

Il rendering del telescopio FlyEye fornito dall’ESA

Il telescopio e il suo edificio nel rendering dell’ESA

Il nuovo telescopio verrebbe costruito sulla collinetta al centro della foto. Dietro si vede l’Etna, ma ancora per quanto?

Questo dimostra che la protezione della natura, soprattutto del paesaggio montano, è ancora minoritaria nel nostro paese, e che ancora troppe persone possiedono idee sbagliate di cosa vuol dire “sviluppo” e “scienza.”

Chi è a favore della costruzione del secondo telescopio sulla Mufara porta due argomenti a supporto della sua posizione. Il primo è quello delle “ricadute sui territori.” Questa espressione è così vaga da essere degna del miglior politichese.

Quali sarebbero le ricadute sui territori di un nuovo telescopio?

Forse ogni tanto qualche scienziato pranzerà al Rifugio Marini o allo Scoiattolo a Piano Battaglia, ma nemmeno questo è certo, visto che forse nella struttura che si vuole costruire ci saranno dei locali per alloggiare. È comunque difficile sostenere che la presenza del telescopio avrà ricadute economiche significative sulle Madonie.

Il telescopio che è stato installato sulla Mufara nel 2020 non ha impedito alla Fondazione GAL Hassin di Isnello, che lo gestisce, di finire sul lastrico. Qualcosa non torna. Alla fine, come spesso accade in Sicilia, sono necessari soldi pubblici per andare avanti.

C’è poi chi sostiene che l’osservatorio porterà un “indotto milionario” grazie al turismo incentrato sulle stelle. Questo tipo di turismo prevede siti di osservazione preferenziale, parchi astronomici (come quello del GAL Hassin, che però i soldi li riceve anziché produrli), e percorsi per l’osservazione delle stelle (a piedi o a cavallo). Peccato che tutte queste cose si potrebbero realizzare anche senza il FlyEye. Le due cose sono del tutto sconnesse.

Il secondo argomento portato a supporto della costruzione del nuovo complesso riguarda la ricerca scientifica. “Il progetto è di altissimo livello, quindi va approvato.” “Il nuovo telescopio servirà a studiare gli asteroidi!”

Sembra che solo chi è a favore dell’opera sia dalla parte della scienza. Non è così.

Il punto è che esistono tanti tipi di scienze, e certe volte anche la scienza ha effetti negativi. Un nuovo osservatorio astronomico non è quindi automaticamente una cosa giusta. Ogni caso va valutato empiricamente, senza ricorrere a scorciatoie ideologiche del tipo “civiltà contro oscurantismo.”

Le scienze della terra ci dicono che il nostro pianeta muore, e noi vogliamo fare qualcosa per impedirlo. Lo facciamo anche proteggendo la Mufara. C’è chi dice che la zona è già rovinata dall’altro telescopio, che però fu costruito solo qualche anno fa, e dagli impianti sciistici di Piano Battaglia. Ma questo è solo un motivo in più per non commettere un altro errore. I luoghi si possono anche risanare, non è inevitabile distruggerli ulteriormente.

Proteggere i paesaggi montani dalle costruzioni artificiali è importante. La montagna è uno degli ultimi luoghi che offre ambienti incontaminati, dove chiunque ne senta il bisogno può sperimentare i grandi spazi, i silenzi e i ritmi della natura. Il valore del paesaggio integro – libero da strutture in cemento, acciaio e plastica – risiede proprio in questa capacità di stimolare un rapporto sano tra l’essere umano e la natura.

Questo ce lo dice la scienza. Sono infatti ormai numerosi gli studi che dimostrano come andare in natura e in montagna faccia bene. Queste attività aiutano a sviluppare un rapporto sano con l’ambiente – la cosiddetta ecophilia. Questa “amicizia” per gli ecosistemi sta alla base della protezione del pianeta.

Noi diciamo “sì” a questa protezione. Chi sostiene che un altro telescopio sulla Mufara non farà danni, invece, dice “no.” L’ennesimo “no” alla conservazione del paesaggio montano e della natura.