Ieiri mi sono messo in testa di andare a correre a Monte Pellegrino nonostante le previsioni meteorologiche dessero pioggia. Era una settimana che non correvo e non volevo aspettare ancora, anche perché le previsioni per il resto della settimana erano brutte, quindi avrei dovuto aspettare molti giorni.

Quando sono sceso da casa i siti che ho consultato dicevano che avrebbe cominciato a piovigginare all’ora di pranzo, per poi aumentare fino a temporali nel pomeriggio. Pensavo quindi che non avrei avuto particolari problemi. Negli anni, infatti, mi sono comprato sia le scarpe da corsa impermeabili sia una giacca impermeabile specificamente progettata per correre.

Quando sono arrivato in Favorita, però, ho ricontrollato le previsioni e ho visto che l’arrivo del temporale era stato anticipato alle seconda mattinata. La perturbazione doveva arrivare da ovest, e guardando l’orizzonte in quella direzione vedevo già della foschia color grigio-azzurro scuro, mista a nuvole non meglio distinte. Nonostante ciò, non mi sono perso d’animo e mi sono messo a correre.

All’inizio del mio solito percorso procedo in direzione nord-ovest. Guardando l’orizzonte sulla mia sinistra, quindi, potevo vedere il rapido evolversi del clima. Il cielo è diventato progressivamente più scuro e denso. A tratti si vedevano delle nuvole, che però sembravo avere difficoltà a farsi più definite, scomparendo di nuovo nella massa della foschia. In quel momento c’era ancora calma—come un senso di stasi o attesa. Forse la mia immaginazione era semplicemente influenzata dal detto “la quiete prima della tempesta”.

Quando sono arrivato all’attacco della Rufuliata, ho dovuto decidere se cominciare a salire o meno sul monte. In quel momento mi è parso che il cielo si fosse leggermente schiarito, e ho pensato che forse la perturbazione si stesse spostando sul mare, anziché proseguire verso l’interno. Così ho iniziato a salire.

Quasi subito, però, ho cominciato a udire i tuoni. Erano bassi e lontani. La cosa che mi ha colpito, però, è stato il fatto che fossero quasi continui, come un rullare di tamburi. Poi mi sono reso conto che il cielo continuava a inscurirsi. A ovest ormai era quasi plumbeo, mentre nella direzione opposta era di un bianco lattiginoso.

Sono arrivato a metà del sentiero, dove solitamente faccio una pausa per bere su una roccia piatta, che offre come una piattaforma naturale da cui guardare quella che un tempo era chiamata la Piana dei Colli. Di nuovo mi sono chiesto se continuare a salire o meno. Davanti alla prospettiva di un forte temporale senza la possibilità di ripararmi, ho deciso di tornare indietro.

Mentre scendevo lungo il sentiero si è messo a piovigginare. Ho cercato di accelerare, per quanto le mie ginocchia e la mia tecnica di corsa me lo consentissero. Poi si è alzato il vento. Un vento a folate scomposte, tipico dei temporali. Quando ho raggiunto di nuovo la Favorita, la pioggia ha smesso. Guardando a ovest, ho visto che dei pesanti grappoli di nuvole grigio antracite avevano oltrepassato i monti del gruppo di Pizzo Manolfo. Ho ripreso a correre, temendo il peggio.

Per fortuna, il peggio non è arrivato. Il resto del percorso è passato tra momenti di leggere pioggia e di asciutto. Quando ho ripreso la bici, l’ho trovata già tutta bagnata, ma anche il ritorno lungo le strade cittadine è stato accompagnato solo da goccioloni sparuti, vento a tratti, e una luce che si faceva sempre più tenue. Nel mio condominio, le luci dei pianerottoli si erano riaccese automaticamente perché fuori sembrava di essere al crepuscolo.

Dopo un quarto d’ora che ero a casa è scoppiato il finimondo.