Siamo arrivati a Portella Colla appena dopo il tramonto. Fuori dalla macchina c’erano zero gradi e un cielo completamente coperto di nubi grigie. Salendo lungo la strada avevamo attraversato diversi banchi di nebbia.

Ci siamo preparati dentro la macchina per non congelare, cercando di sfruttare al meglio il poco spazio a disposizione. Poi ci siamo incamminati verso Piano Cervi.

Nonostante il buio e il cielo coperto, c’era abbastanza luminosità da camminare senza le torce frontali. Il mondo attorno a noi era in bianco e nero, o meglio, in scale di grigio. La neve al suolo era grigio chiaro, mentre tutto il resto—alberi e rocce—era diverse tonalità di grigio scuro, antracite e nero.

Quando ci siamo addentrati nel bosco abbiamo dovuto accendere le torce.

Clicca sulle immagini e ruota il telefono per vederle in alta definizione

Il silenzio nella faggeta coperta di neve era assoluto. Non c’era vento, e l’unico suono era quello delle ciaspole che premevano sulla neve. Poi d’un tratto abbiamo sentito un uccellino cantare su un albero. Mi sono stupito che non dormisse–ma perché avrebbe dovuto?

Sulla neve abbiamo visto tracce di daino e lepre.

* * *

Di notte si è messo a nevicare copiosamente. Una neve grossa e lenta.

Di mattina tutto era avvolto nella nebbia e ricoperto da uno spesso strato di neve morbidissima.

Non avevo mai visto un bosco dove aveva appena nevicato. Su tutte le superfici si erano create delle forme stranissime. Ogni ramo aveva un doppione innevato di sopra, come un’ombra bianca proiettata dal basso verso l’alto. Al suolo, in diversi punti c’erano delle onde di neve, segno che di notte doveva esserci stato vento. Queste onde sembravano essersi fermate in un istante, anziché proseguire nel loro impossibile cammino. In un altro punto, la neve aveva ricoperto ogni roccia di un grande ammasso di pietre con una sorta di semi-sfera bianca. Un fenomeno molto simile si era verificato sopra ogni ciuffo di aghi dei rami di pino.

In un punto più esposto al vento, gli aghi di alcuni rami erano stati completamente ricoperti di ghiaccio. Adesso apparivano come vetrificati, quasi un oggetto d’artigianato più che una parte di un essere vivente.

Una cosa che mi ha colpito moltissimo del paesaggio in cui mi trovavo è stata la completa assenza di orme umane. Vedere la neve immacolata è stato davvero strano. Soprattutto al suolo, la distesa intatta mi sembrava (paradossalmente) quasi innaturale. Attraversavo un mondo che sarebbe durato solo poche ore; l’arrivo degli escursionisti del fine settimana lo avrebbe fatto scomparire. Più che in un luogo unico, mi trovavo in un momento unico.

* * *

Siamo andati via come eravamo arrivati, dopo il tramonto. Oltre al buio, questa volta c’era pure nebbia, soprattutto nella faggeta. La luce della mia torcia frontale creava un grande alone davanti a me, un effetto ottico fastidioso di cui ho già parlato. Meglio spegnerla. Così è riapparso il mondo in bianco e nero.

A Piano Cervi abbiamo seguito le sagome più scure degli alberi alla nostra sinistra. A un certo punto abbiamo trovato una lunga serie di impronte fresche. Sembravano di gatto selvatico.

Procedere nella neve alta e fresca era lento e faticoso, nonostante le ciaspole. Portare avanti il piede destro e il bastone sinistro, poi il piede sinistro e il bastone destro, e ripetere. Prestare attenzione al ritmo dell’alternanza, come una forma di meditazione camminata. La semplicità della natura, che forse è la cosa che più ci calma quando ci troviamo in montagna. Il silenzio della notte innevata. L’unico suono, la neve pressata dalle ciaspole. Assenza di vento. Poi d’improvviso, come all’andata, un uccellino che canta tra i rami di un albero. Era lo stesso?

Quasi verso la fine del percorso si è alzato un po’ di vento. A est il cielo grigio si è aperto in alcuni punti, e tra le nuvole sono spuntate delle macchie nere di cielo stellato.

Ho cominciato a fissarle mentre andavo avanti, estasiato dal contrasto che creavano con le nubi tutto attorno. Quelle aperture scurissime e tempestate di puntini bianchi apparivano profonde e misteriose.

Così sono stato sopraffatto da quella sensazione che alle volte—molto raramente—mi capita quando vado in montagna. Una sensazione di smarrimento. Per un attimo non capisco più dove mi trovo; mi sembra di essere completamente altrove, in luogo sconosciuto. So dove sono, ma tutto è così strano e diverso che non lo riconosco. In altre circostanze sarebbe una sensazione tremenda, ma in questi contesti è piacevole, perché mi sento perso in un luogo bellissimo. È un momento di stupore pieno di gioia.