Alcuni giorni fa mi trovavo nel Parco della Favorita, ai piedi di Monte Pellegrino, quando è arrivato un’acquazzone. Già da alcune ore il cielo si era andato annuvolando, e nella mezz’ora precedente ogni tanto erano cadute delle leggerissime gocce. Poi a un certo punto ha iniziato proprio a piovere. Prima una pioggia sottile, quasi invisibile nell’aria e impercettibile sul corpo. Poi la precipitazione si è fatta intensa, creando il tipico rumore della pioggia battente al suolo. Per mia grande fortuna, in quel momento ero vicino un campeggio abbandonato che si trova dentro il parco. Ho così potuto trovare riparo, non prima di essermi fatto quella che definirei una mezza doccia. Ironia della sorte, mi sono riparato dentro una delle vecchie docce del campeggio.

Il mio ricovero di fortuna durante l’acquazzone

Mentre aspettavo che spiovesse, ho avuto modo di riflettere su tutta una serie di pensieri e sensazioni. La prima cosa che ho notato è stata il suono della pioggia che batteva sulle foglie degli alberi, sul terreno, le rocce e il tetto in legno della struttura. Era un suono dolce e rilassante (non ha caso il suono della pioggia battente viene spesso usato per aiutare a prendere sonno). Il terreno di fronte a me si è inumidito e ha cambiato colore, diventando più scuro. L’acqua ha cominciato a raccogliersi sulle superfici dure e non permeabili. Gli odori resinosi e balsamici dei pini e degli eucalipti tutto attorno sono divenuti più forti. Allo stesso tempo, si è diffuso l’odore della terra secca bagnata dopo molto tempo (il petricore).

Mentre provavo queste sensazioni, mi sono reso conto di come tutto ciò che stava accadendo era completamente inaspettato. La pioggia non era stata prevista da nessuno dei siti web del meteo che consulto di solito. Curioso di capire se le previsioni fossero cambiate, le ho controllate di nuovo mentre aspettavo. Davano ancora bel tempo. Ovviamente le previsioni possono sbagliare, ma che succeda così vicino all’evento è ormai abbastanza raro. L’episodio mi ha quindi fatto riflettere ancora una volta su quanto il nostro rapporto con la natura sia mediato dalla tecnologia, dalle previsioni meteo agli smartphone, per non parlare delle automobili e delle autostrade su cui viaggiano.

Per questo motivo, l’acquazzone imprevisto mi ha dato una sensazione di contatto spontaneo e non mediato con l’ambiente, pur nella sua brevità e all’interno di un contesto quasi interamente urbano. L’episodio mi ha anche fatto sentire in maniera viscerale quanto prevedibili e programmate sono diventate le nostre vite, soprattutto nei loro aspetti più quotidiani. Chi lo avrebbe mai detto che uscendo di casa quella mattina avrei fatto quell’esperienza? Sono uscito con in mente un’idea di cosa avrei fatto, dando per scontato tutta una serie di cose, perché quasi sempre i nostri piani sono confermati, almeno per grandi linee. Come ho già scritto su questo blog, l’attesa del bel tempo quando si fanno le escursioni è un esempio classico di questa ricerca della prevedibilità.

Ma non si tratta di rifiutare la tecnologia in toto; questo sarebbe assurdo e probabilmente impossibile. L’episodio dell’acquazzone mi ha fatto pensare a un’escursione che ho fatto diversi mesi fa con Salvo nel bosco di Ficuzza. In quell’occasione, è calato il buio prima che tornassimo alla macchina.  All’inizio dell’escursione avevamo tagliato in mezzo al bosco, fuori sentiero, per cercare di trovare un nuovo percorso, registrando la traccia sul GPS. Così, al ritorno abbiamo seguito la traccia registrata. Camminando in mezzo agli alberi in una zona che non conoscevamo, mi ricordo di avere pensato che la linea azzurra sullo schermo del GPS era per noi come il filo che Arianna diede a Teseo per uscire dal labirinto del Minotauro. Lì per lì la fine dell’escursione mi era sembrata molto poco “naturale”; un’esperienza interamente mediata dalla tecnologia.

Riflettendoci, però, mi sono reso conto che è ingenuo ragionare in questi termini. La maggior parte delle persone che pratica l’escursionismo è gente di città. Il termine stesso “escursione” trasmette un significato di uscita da un luogo—la città, appunto—in direzione di un altro luogo, la natura. Per delle persone che non abitano in contesti rurali o naturali, è impossibile pensare di muoversi con disinvoltura in un ambiente che non conoscono senza il supporto della tecnologia. Solo una persona molto (molto) esperta di mappe e bussola potrebbe farlo, e sono pochi quelli che possiedono questo tipo di sapere (e anche la mappa e la bussola possono rappresentare una “tecnologia”).

L’uso del GPS, delle previsioni meteo, dell’abbigliamento tecnico e via dicendo possono essere di grande aiuto nel fare avvicinare gli urbanizzati alla montagna. L’importante è avere rispetto e non dare nulla per scontato. Bisogna evitare che la facilità di accesso che consente la tecnologia si porti appresso superficialità e scarsa consapevolezza nei confronti della natura. Per quanto riguarda l’imprevisto, si può cercare di includerlo spingendosi un po’ più in là e rompendo con la solita routine.