Domenica scorsa sono andato a fare un’escursione col CAI di Palermo su Monte Palatimone, uno dei rilievi che sovrastano Castelluzzo e il golfo di Macari. È una zona dove sono presenti diversi “monti” (per gli standard siciliani) che si sollevano ripidi direttamente dalla costa, come spesso accade nella parte nord dell’isola.

Il golfo di Macari è molto impressionante da questo punto di vista perché è circondato da diversi rilievi imponenti. A est c’è Monte Cofano, mentre a ovest è presente il massiccio che forma la Riserva Naturale dello Zingaro. A est, ma spostato un po’ verso sud, alle spalle della spiaggia, si trova Monte Palatimone.

Quando sono arrivato, la prima cosa che ho notato è stata che buona parte del territorio è bruciato di recente. Quasi tutta la zona costiera, che è molto ampia, adesso ha un colore marrone scuro, con molti tratti nero carbone. Tanti arbusti della macchia mediterranea sono seccati a causa delle alte temperature dell’incendio, e lo stesso è successo ai molti alberi di ulivo presenti sulla spianata.

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La vegetazione è più fitta alla base della montagna, dove il terreno sale ripidamente fino a raggiungere la nuda parete di roccia. Ampi tratti di questa fascia sono andati a fuoco, mentre altri si sono salvati, per fortuna. C’era un misto di due tonalità: il verde intenso delle piante vive e il marrone di quelle abbrustolite.

Il sentiero che porta su Monte Palatimone attraversa in obliquo proprio questa fascia. Percorrerlo è stato come passare “dentro” l’incendio. Non so se è stato più strano vedere i rami carbonizzati e le foglie secche o sentire l’odore di bruciato nell’aria.

Aveva piovuto da poco, cosa che sicuramente esaltava l’odore; poi c’era un forte vento di maestrale, che probabilmente sollevava la cenere nell’aria. Così sembrava che il fuoco si fosse appena spento.

Lentamente sono salito lungo il sentierino pieno di pietre scavato nel terreno. Alle volte ho sfiorato con le braccia le piante carbonizzate, che mi hanno sporcato la pelle di nero. Il percorso era segnato da grossi ciuffi di disa bruciati fino alla base. Avrei dovuto camminare in mezzo ad arbusti verdi, invece mi muovevo in mezzo a degli scheletri.

Una volta arrivato alla Scaletta del Frassino, ho potuto guardare dall’alto le conseguenze dell’incendio. Un’intera zona verde sfregiata dalle fiamme. Un paesaggio fatto a pezzi.

Le piante annuali ricresceranno in primavera, ma le altre ormai sono perse — olivastri, frassini, lentischi, carrubi. Alcune di queste latifoglie ricacceranno, se non ci saranno altri incendi (improbabile), ma il danno al territorio resterà visibile per anni, se non decenni.

Sempre più spesso è così. Dalla cima di Monte Palatimone ho visto che a sud è bruciato anche quasi tutto Monte Sparagio. È ridotto come Pizzo Manolfo a Palermo.

Quando stavo tornando, mentre passavo di nuovo in mezzo alle conseguenze dell’incendio, mi sono reso conto che ormai questo tipo di territorio sta diventando normale e che dovremo abituarci a camminare anche lì.

Il sentiero come si presentava prima dell’incendio in un’immagine satellitare

Il sentiero oggi