Ieri siamo andati sulle Madonie sopra Castelbuono.

Nei giorni scorsi ha nevicato un bel po’ sopra i 1000 metri. All’inizio avevamo pensato di andare a vedere quanta neve c’era nella zona di Piano Cervi, in previsione di una possibile escursione. Alla fine, però, ci siamo diretti verso Piano Sempria, sopra Castelbuono.

Abbiamo lasciato la macchina di fronte il Rifugio Crispi del CAS. A quell’altezza c’era freddo ma non abbastanza da nevicare, almeno non a quell’ora. Il terreno era coperto da un leggero velo bianco, caduto sicuramente di notte, ma in quel momento cadeva solo pioggia mista a neve; quella sorta di pioggia densa che segna il passaggio tra uno stato e l’altro dell’acqua in aria.

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Poco dopo avere oltrepassato il rifugio, ha iniziato davvero a nevicare. Tutto il giorno ha fatto così—attacca e stacca. Lungo la parte iniziale del percorso la neve era molle, quasi sciolta per il “caldo” che c’era a quell’altitudine. Ma più in alto si è indurita. Siamo saliti verso Cozzo Luminario e Piano Imperiale.

Nello spazio di poche centinaia di metri, la neve al suolo è aumentata di molto. In alcuni punti si sprofondava quasi fino al ginocchio. Noi avevamo le ghette ma non le ciaspole. Gran parte del percorso è stato comunque abbordabile. Probabilmente la fatica aggiuntiva dovuta alla mancanza delle ciaspole era compensata dal minore peso ai nostri piedi.

Ai bordi di quello che era il sentiero sotto la neve, si erano formati dei piccoli ruscelli alimentati dal suo scioglimento. Vedere scorrere l’acqua in mezzo alla neve è stato bellissimo. Mi è sembrata una cosa rara, poi mi sono reso conto che succederà tutti gli anni. Semplicemente non siamo abituati a vederlo, o anche solo a immaginarlo, vivendo in Sicilia.

Poco oltre il Rifugio Morici abbiamo scoperto che si era formato un laghetto in una depressione naturale del terreno. A fine giro, quando siamo entrati al Crispi, il gestore ci ha detto che si forma sempre quando piove molto. Oggi era tutto coperto di neve, ma la presenza dell’acqua si riusciva a scorgere perché la neve sovrastante era semi-sciolta e sporca.

A un certo punto, su uno dei tanti rilievi che circondano il sentiero che seguivamo, ho notato che si era formato una specie di seracco. Il termine seracco è forse improprio in questo caso, visto che si riferisce a parti dei ghiacciai. Ma la formazione sul rilievo era molto simile. Si trattava infatti di un grande blocco di neve orizzontale, sospeso lungo un ripido pendio. Era come una grande onda di neve che aveva raggiunto la massima altezza prima di cominciare a cadere su sé stessa. Nei ghiacciai, i seracchi si formano a causa di una rottura nel substrato roccioso, oppure, nel caso dei ghiacciai sospesi, a causa della presenza di una parete rocciosa.

Nonostante fosse previsto vento forte da nord, per un bel tratto quasi non ne abbiamo percepito. Salivamo da est, e il massiccio del Carbonara ci proteggeva dall’aria più fredda. Quando siamo arrivati a Croce dei Monticelli, però, ci siamo affacciati sulla costa, e la cosa è cambiata decisamente. Il vento gelido ci colpiva direttamente in viso. Fino a quel punto, la salita e l’incedere nella neve ci avevano riscaldati. Ma arrivati lì, ci siamo fermati a chiudere e stringere tutto l’abbigliamento che indossavamo. Da un momento all’altro sembrava di stare facendo un’escursione completamente diversa.

Tutto attorno c’era un silenzio incredibile. Sentivo solo il rumore dei miei passi che calpestavano la neve, il vento che soffiava nel cappuccio, e il mio respiro. Il cielo sopra di noi ogni tanto si apriva, mostrando le colline più in basso verdi, prive di neve. Il sole in mezzo alle dense nuvole sembrava una piccola lampadina che emetteva una luce fredda.

Sulla neve abbiamo trovato poche tracce di animali, qualche lepre, volpe e daino. Durante tutto il giorno avremo visto sì e no un daino e un paio di uccellini. Con quelle temperature gli animali saranno stati o rintanati o a quote più basse.

Uno di noi è voluto andare a vedere l’acero montano secolare che avevamo visitato lo scorso settembre. L’albero cresce dentro una dolina stretta e profonda, che ovviamente era piena di neve. L’altezza del tronco era quindi un po’ meno pronunciata del solito, ma la dimensione della chioma era sempre impressionante, anche spoglia.

Ci trovavamo poco sotto l’inizio dell’altopiano vero e proprio, dove si susseguono una serie di ampi pianori rocciosi che salgono di altitudine fino ad arrivare al punto più alto del massiccio del Carbonara (1979 m), che chiamiamo Pizzo anche se non c’è un vero pizzo. Ho proposto di salire alla ricerca di un alberello isolato che mi ricordavo in zona, e anche per provare di vedere il panorama da su.

Salire sul pendio nevoso guardando la linea bianca dell’orizzonte creata dal pianoro è stato bellissimo.

Quando siamo arrivati sull’altopiano ho avuto la sensazione di avere scoperto un luogo nuovo. Non era tanto che non mi sentissi in Sicilia. Era proprio la sensazione di trovarmi in un luogo nuovo, anche se c’ero già stato più volte. Mentre salivamo era scesa la nebbia, e sul pianoro ce n’era davvero tanta. Per un tratto abbiamo preso direzioni diverse, e a un certo punto mi sono reso conto che rischiavamo di perderci nella nebbia. In poco tempo i punti di riferimenti hanno iniziato a scomparire. Con il suolo tutto coperto di neve, la distinzione tra cielo e terra era segnata solo dalla presenza di alcune rocce scure affioranti. Mi è venuto in mente il fenomeno del whiteout, e mi sono riavvicinato in fretta.

Nella nebbia, pianoro, orizzonte e cielo hanno cominciato a non distinguersi più

In alcune zone dell’altopiano la neve era ghiacciata. Non avendo i ramponi dovevamo fare attenzione a dove mettevamo i piedi. Il mio termometro segnava 0,7 gradi, ma col vento saremo stati sicuro sotto zero. I siti meteo davano per Piano Battaglia, cioè a 1600 metri (noi ci trovavamo a 1700), una temperatura percepita di -5 gradi.

A un certo punto, la nebbia è passata e il cielo ha iniziato ad aprirsi. Erano già le quattro, e il sole stava tramontando. Verso occidente le nuvole hanno cominciato a tingersi di rosa. L’ampiezza e la bellezza straniante della vista toglievano il fiato—molto più della salita. In quel momento ho pensato che c’è molto più mondo di quanto immaginiamo, per fortuna.

Non siamo andati oltre. Era già tardissimo e sapevamo che avremmo fatto gran parte della strada del ritorno al buio.

Siamo scesi lungo un pendio molto ripido che sotto il manto nevoso era tutto pietre. Ma la magia della neve è anche questa, rende facilmente praticabili superfici di solito impervie.

Quando si è fatta notte abbiamo acceso le torce frontali e proseguito in un mondo che sembrava ancora più sconosciuto. Così sconosciuto che dopo avere individuato il laghetto che avevamo trovato all’andata ed esserci raccomandati di evitarlo, io mi sono distratto a parlare di Messner e ci ho messo entrambi i piedi dentro. Per fortuna eravamo ormai a un’oretta dalla macchina. Nell’ultimo tratto ha iniziato di nuovo a nevischiare. Nei coni di luce delle nostre torce sembrava di vedere cadere una miriade di microscopiche stelle cadenti.

La giornata si è conclusa al Rifugio Crispi, dove abbiamo trovato il camino acceso, la cioccolata calda e la grappa.