E così anche quest’anno ci sono stati degli incendi tremendi in Sicilia. Manca ancora molto alla fine della stagione calda (ormai dovremmo dire “caldissima” — il segretario delle Nazioni Unite parla di “ebollizione globale”), ma il bilancio è già pesante.

Nel palermitano, diversi roghi di grandi dimensioni hanno colpito le montagne e le colline che circondano la città. Come al solito, gli incendi peggiori sono avvenuti durante le giornate in cui soffiavano forti venti da sud. I siti meteo avevano previsto questo clima almeno con una settimana d’anticipo, ma nonostante ciò non si è riuscito a evitare il peggio.

Mappa degli incendi nel palermitano creata dal sistema satellitare Copernicus

 

Landsat-8, 25 luglio, e Copernicus Sentinel-2, 26 luglio (USGS/ESA)

I media sono pieni di articoletti stile elenco — pezzi che non fanno altro che elencare i fatti accaduti (“Andata a fuoco anche una concessionaria d’auto”) e le reazioni politiche e istituzionali. Anche questa è informazione, per carità. Ma se una persona vuole capire meglio il problema, questi articoli non aiutano.

Sui social ci sono tante persone che si chiedono “Ma com’è possibile? Ogni anno la stessa storia?” e altrettante che rispondono “Gli autori di questi incendi sono dei mostri/dei criminali senza scrupoli/dei bastardi che se li incontro li ammazzo.” Anche qui, capirne di più resta quasi impossibile. Eppure il desiderio di capire c’è. Perché in effetti il fenomeno sembra assurdo.

Com’è possibile scegliere di devastare intere colline e montagne? Com’è possibile che non ci sia una maggiore coscienza ambientale? Com’è possibile che le forze dell’ordine siano sempre impreparate? Com’è possibile che i politici non facciano nulla?

Di solito, le risposte a queste domande sono più o meno queste: 1) i piromani sono delle persone prive di senso morale; 2) la gente è ignorante; 3) alle forze dell’ordine mancano i fondi; 4) i politici sono incapaci.

C’è del vero in tutto ciò, indubbiamente. Ma queste sono delle non-risposte che aggiungono pochissimo alla comprensione del problema incendi dolosi. Si tratta più che altro di cose dette per mostrare di una avere una risposta pronta e, alla fine, per chiudere subito il discorso.

Gli incendi che ogni anno distruggono il territorio non sono opera di malati di piromania. Sicuramente qualche caso ci sarà pure, ma pensare che questa sia la causa del problema è semplicistico. Basta fare una ricerca online con le parole “arrestato piromane” o “appicca incendio arrestato” per rendersene conto. Ci sono diverse tipologie di colpevoli.

Ci sono gli agricoltori e i pastori che vogliono “pulire” i terreni che usano o vorrebbero usare (a vario titolo) e che pensano che il fuoco sia il modo più sbrigativo per farlo. Poi ci sono gli operai stagionali della Forestale e i volontari della Protezione Civile che lo fanno per un tornaconto di categoria (probabilmente).

Che queste siano persone con poco senso morale, non ci piove. Ma ridurre tutto a questo e all’ignoranza, come se questa fosse una caratteristica solo personale, non porta molto lontano.

L’ignoranza, nel senso di un comportamento sbagliato, la produce la società. Sicuramente chi appicca un incendio è peggiore di tantissime altre persone, e per questo va punito, ma possiamo davvero stupirci che ci sia qualcuno così “ignorante”? In che tipo di società viviamo?

Secondo uno studio recente sulla percezione della sostenibilità in Italia, di cui avevo già parlato, “meno di un quarto della popolazione è disposto a metterci la faccia, cercando di adeguare in modo convinto i propri comportamenti alle sfide della sostenibilità.”

D’altronde, i dati dell’ISTAT ci dicono che gli italiani che nell’arco di un anno hanno partecipato ad almeno una riunione in associazioni ambientaliste sono in media circa l’1,5% della popolazione.

Forse è per questo che di fronte al dramma dei roghi dolosi, molte persone, soprattutto sui social, dicono che si dovrebbe fare questo e quell’altro ma poi non sono disposte a fare nulla loro. C’è addirittura chi suggerisce di organizzare “ronde” per proteggere il territorio. Ma quante persone si presenterebbero? E soprattutto, quanto durerebbe questa iniziativa?

Chi cerca di contrastare la piaga degli incendi dolosi punta moltissimo sul problema del riscaldamento globale, dicendo che i roghi diventeranno sempre più frequenti perché le condizioni che li agevolano (le altissime temperature) diventeranno anch’esse sempre più frequenti. Questa consapevolezza dovrebbe indurre politici, istituzioni e cittadini ad agire.

Ma quale consapevolezza? Le due ricerche appena citate mettono in dubbio che si possa fare affidamento su questo aspetto. Inoltre, secondo una recente indagine di Greenpeace, i principali media italiani dedicano pochissimo spazio al riscaldamento climatico, e lo fanno pure male, diffondendo informazioni al limite delle fake news.

Un altro discorso che viene ripetuto in continuazione è che i politici sono incapaci. Non si tratta di incapacità; si tratta di disinteresse. D’altronde, chi abbiamo votato alle elezioni regionali del 2022? Un governo di destra, e tutti sanno che l’ambiente non è un tema che interessa alla destra. A livello nazionale, al momento abbiamo il governo più a destra della storia della repubblica. In parlamento, il partito Europa Verde ha sei deputati e un senatore, cioè nulla.

In riferimento agli estremi climatici che si stanno verificando in Italia in questi giorni, la attuale premier, Giorgia Meloni, ha parlato di “realtà climatica imprevedibile” e di “incidenti dovuti al maltempo,” come se i fenomeni in questione non fossero stati ampiamente previsti dagli scienziati che studiano il riscaldamento globale.

Se come siciliani e italiani abbiamo scelto questo, ha poco senso chiedersi perché chi ci governa non ha maggiormente a cuore le sorti della natura. Dovremmo prima capire perché non votiamo chi fa dell’ecologia la sua bussola.

Di fronte al problema degli incendi dolosi, politici e istituzioni creano attorno a sé un muro di gomma che li protegge dal dovere rendere conto del loro disinteresse alla popolazione. Le parti in gioco si ringraziano e si fanno i complimenti a vicenda, dicendo che è stato fatto tutto il possibile (anzi di più) e che quello che è successo non si poteva prevedere. Chi osa criticare viene accusato di fare polemica fuori luogo, di non avere rispetto per i morti e i feriti, e di essere un ingrato.

Queste risposte non sono semplice dialettica politica; sono uno dei modi in cui il sistema di potere si difende e si riproduce.

Lo stesso vale per i discorsi che collegano il problema incendi alla mafia. Dire che è colpa della mafia esonera i governanti da ogni responsabilità perché se c’è di mezzo la mafia, ovviamente loro sono i cattivi e noi, per esclusione, siamo i buoni. Il problema sono loro — la mafia! — non noi.

La mafia è una cosa specifica — un’organizzazione di famiglie e cosche dai confini ben precisi. Altra cosa è un sistema criminale. Rispetto a questo, l’analisi del WWF è utile e condivisibile:

[È necessaria] la creazione di un gruppo investigativo permanente di interforze che, con azioni mirate di intelligence e di prevenzione, contrasti l’attività dei criminali incendiari, presidi quell’area grigia di illegalità che si coagula intorno alle aree forestali, ne individui componenti, interessi e dinamiche. Di fatto continua ad esistere un sistema fatto di precarietà, di aspettative legittime e non, di grovigli di interessi, di trascuratezza nella cura del personale compreso il mancato rinnovamento. E normalmente queste situazioni generano complicati fenomeni clientelari ed assistenziali, difficili anche da dipanare. A farne le spese è la nostra ricchezza di biodiversità, la nostra flora e la nostra fauna, la nostra salute, la nostra identità, il nostro futuro

Le soluzioni a questo problema esistono. Alcune possono essere realizzate nel breve periodo. Ad esempio, si potrebbero realizzare dei bandi pubblici per affidare i boschi a soggetti del terzo settore, associazioni e cooperative sociali, con un contratto che preveda un contributo iniziale del 50% e, a fine stagione, l’altro 50%, a patto che non vi siano stati incendi (di una certa dimensione) sul territorio affidato.

Più di vent’anni fa, questo sistema fu adottato con successo nel Parco dell’Aspromonte. Ricerche più recenti confermano che modelli di gestione attiva del territorio sono utili nel prevenire gli incendi. 

Altre soluzioni sono di lungo periodo, c’è poco da fare. Si tratta di cambiare quegli aspetti della società a cui facevo riferimento sopra — il disinteresse e la disinformazione, così come la mancanza di impegno concreto — che sono problemi culturali.

Foto di copertina: incendio su Monte Caputo (Monreale), © Yassine Khammessi, pubblicata su Palermo Today