Il 5 ottobre c’è stato un incendio alle falde di Monte Pellegrino, lungo il tratto che costeggia Viale Regina Margherita. La zona è attraversata da un sentiero chiamato Landolina.

Si tratta di una lunga fascia coperta in gran parte da penniseto, ma dove sono presenti anche alcuni olivastri e due filari di abeti (credo).

Dopo pranzo, sul gruppo WhatsApp del Presidio Antincendio Pellegrino, una persona ha segnalato che da una webcam posta su Pizzo Manolfo vedevano fumo lungo il sentiero Landolina. Il direttore della riserva di Monte Pellegrino, che fa parte del gruppo, ha confermato che c’era un incendio in corso.

Anche se sapevo che non avrei potuto dare una mano concreta, ho deciso di andare a vedere cosa stava succedendo. Non riuscivo a pensare di stare a casa.

In parte l’ho fatto perché quando abbiamo creato il gruppo del presidio, avevo fatto un sopralluogo e avevo scritto che quella zona mi sembrava molto rischiosa. Avevo anche fatto delle sorte di mappe di come un incendio avrebbe potuto propagarsi e salire sulla parte alta del monte, usando delle immagini satellitari prese da Google Maps. Adesso sembrava che stesse accadendo proprio quello che avevo previsto.

Quando sono arrivato, ho trovato un lungo fronte del fuoco che era già salito sul costone e un piccolo gruppo di personale del Servizio Antincendio Boschivo (SAB), della Protezione Civile, e dei Vigili del Fuoco.

A vedere le fiamme che avanzavano spinte dal vento ho provato un fortissimo senso di impotenza e rabbia. Pensare che poteva bruciare tutto il monte e potere stare solo lì a guardare mi ha fatto venire da piangere, ma non ci sono riuscito.

Gli addetti allo spegnimento all’inizio hanno seguito lentamente il fuoco da dietro utilizzando i flabelli, come se un fuoco che avanza si potesse spegnere alle spalle. Il vento spingeva le fiamme in diagonale, verso la parete. Lateralmente, ma da davanti, si sarebbe potuto intervenire.

Non hanno usato nemmeno l’acqua all’inizio. Mentre ero lì è arrivata una piccola autobotte del SAB. L’incendio era scoppiato da almeno un’ora e mezza, a detta del direttore della riserva. Sul posto c’erano anche due pick-up, di quelli con i serbatoi sul retro (uno dei pompieri e uno della protezione civile).

Io e un altro membro del Presidio Antincendio Pellegrino, che era venuto anche lui perché si trovava in zona, abbiamo consigliato di fare salire i pick up lungo una striscia di terra libera da penniseto grazie alla presenza di un filare di alberi, che arriva quasi fin sotto la parete. Questa linea era perpendicolare al fuoco, quindi consentiva di attaccarlo da davanti.

All’inizio ci hanno risposto che era troppo pericoloso. Poi, sempre molto lentamente, lo hanno fatto.

Tutto avveniva con estrema rilassatezza. Io avrei immaginato che ci dovesse essere fretta in una situazione di questo tipo – fretta per evitare che il fuoco salisse sul monte e si espandesse. Ma non era affatto così. Forse per loro bruciavano solo erbacce.

Diversi membri del personale erano anziani – cosa che viene sempre denunciata quando si parla di lotta agli incendi – ma non tutti.

Un’altra cosa che mi ha colpito è stata la frequenza con cui hanno fatto video con i telefonini. Io penso che quando si lavora non si debbano fare video, ma si debba lavorare. Forse il problema non è solo il personale anziano, ma la formazione che viene fatta a questo personale.

Gli unici che sembravano in ansia erano i Rangers, che gestiscono la riserva. Il direttore è stato tutto il tempo attaccato al telefono a cercare di reperire risorse e persone.

Dopo altro tempo sono arrivate due autobotti senza scritte, quindi con ogni probabilità del comune. Una di queste è stata fatta salire lungo la striscia di terra dove si erano posizionati i pick up. Purtroppo, però, quando hanno provato a usarne l’acqua, si sono accorti che non aveva abbastanza pressione per quello che doveva fare, e quindi è stata mandata via.

Finalmente, due uomini hanno iniziato ad attaccare il fronte del fuoco con l’acqua.

Mentre li osservavo, mi sono chiesto come mai non si fosse pensato di creare dei viali tagliafuoco in quella zona. Magari non necessariamente in senso parallelo al monte, visto che si potrebbe sempre dare fuoco oltre il viale, lato monte, ma in senso perpendicolare, dalla strada fino al costone, in modo da impedire l’avanzata delle fiamme spinte dal vento. Si potrebbero creare più sezioni con questi brevi viali, in modo che il fuoco resti circoscritto al loro interno.

Mi sono anche chiesto se si fanno dei piani antincendio specifici per certi luoghi, in base alle caratteristiche del territorio. Se si fanno tavoli di lavoro all’inizio della stagione degli incendi per pianificare e coordinarsi. Questo è chiaramente fondamentale per le riserve.

Molti hanno detto che nella zona del sentiero Landolina non si era mai verificato un incendio, ma questa non può essere una giustificazione. Se ci si basa sempre su ciò che è accaduto, non si possono anticipare gli imprevisti. La prevenzione degli incendi deve essere basata su ragionamenti, non sulla tradizione. Ci vuole un approccio scientifico, non dogmatico (“È sempre avvenuto così”).

Le tre ore che ho passato lì sono state un’illustrazione dei classici problemi Siciliani: poche risorse, ma anche risorse utilizzate male, e gente che lavora male, tranne poche eccezioni.

Alla fine il vento è calato, e il personale è riuscito a spegnere il fuoco lungo il sentiero. Se ci fosse stato forte maestrale, non so cosa sarebbe successo. Ma per la parte che era già arrivata sopra il costone c’è voluto l’intervento di ben due Canadair. Forse tutti aspettavano questo.